

Bruno é un imprenditore nato dalla gavetta, uno di quelli che si é fatto da solo, costruendo la sua fortuna mattone dopo mattone e non aveva mai pensato di ritrovarsi al punto di dover decidere la strada per salvare l’azienda dal fallimento.
È una di quelle persone con un naturale fiuto per gli affari, un innato pallino per le vendite e quel coraggio tipico di tutti gli imprenditori con cui solitamente lavoro. La capacità di buttare sempre il cuore oltre l’ostacolo è una di quelle caratteristiche che non può mancare in chi decide di fare impresa in Italia.
La sua carriera è iniziata presto, quando aveva poco più di 18 anni e, finito il liceo, dopo poche settimane passate in università, si era reso conto che non avrebbe resistito cinque-sei anni a scaldare i banchi.
Non amava lo studio e aveva fretta di crescere.
Bruno aveva fretta di diventare grande, indipendente e di prendersi la sua rivincita contro il mondo che, a suo modo di vedere, non era stato generoso con lui.
Era un ragazzo ambizioso e coraggioso. Non poteva certo accontentarsi di un posto in fabbrica uno come lui.
Aveva la chiacchiera, la bella presenza e la faccia tosta che lo rendevano un commerciale perfetto.
Come molti alla fine degli anni ‘90 iniziò la sua carriera come agente immobiliare.
Il periodo era fertile, le banche stavano iniziando quella rincorsa ai mutui che avrebbe permesso a molti di coronare il sogno della casa di proprietà, il mercato immobiliare era in fermento e c’era spazio per crescere se avevi il coraggio di lanciarti in una carriera lontana dal “posto fisso”.
Molti degli imprenditori che conosco, quelli che non sono i “tecnici” della loro azienda, hanno iniziato la loro gavetta in una piccola agenzia immobiliare di una città di provincia.
La maggior parte di loro nel tempo ha abbandonato il settore, dedicandosi a nuove e più soddisfacenti avventure imprenditoriali.
Bruno non era stata un’eccezione.
Dopo qualche anno e tanta gavetta nelle agenzie immobiliari, aveva deciso di mettersi in proprio, di uscire dal settore immobiliare e di lanciarsi nell’avventura ha portato avanti fino ad oggi. Col senno di poi, la scelta migliore della sua vita. Lo pensava davvero fino a qualche anno fa.
Poco prima della grande crisi immobiliare del 2010 Bruno, con la donna che poi sarebbe diventata sua moglie, aveva deciso di lanciarsi nel fiorente mercato delle forniture di consumabili per ufficio.
Toner, risme, penne, evidenziatori… eccetera.
D’altronde era appena cominciata l’era dei cambiamenti più straordinari nella tecnologia delle attrezzature per ufficio e i produttori delle nuove macchine erano alla ricerca di distributori dei consumabili.
In quegli anni si stava infatti completando il passaggio alle nuove stampanti laser, che avrebbe aperto la strada alla rivendita dei materiali di consumo.
Non so se ti ricordi, ma fino a qualche anno prima le stampanti per ufficio erano ad aghi o a getto d’inchiostro. Le aziende come quelle di Bruno erano pronte a cavalcare l’ondata di acquisti sostitutivi che avrebbero portato all’installazione delle più efficienti stampanti laser.
Partito all’avventura con la moglie ed altri due soci, si era ritrovato subito a gestire l’aspetto commerciale dell’azienda neocostituita.
Qual è il modello di business che più di ogni altro ti impedisce di salvare l’azienda dal fallimento?
Forte della sua esperienza passata e spinto dalla voglia di emergere, era riuscito in poco tempo ad acquisire clienti sempre più importanti, generando un volume d’affari impressionante per un’azienda che al suo massimo, era arrivata a contare 17 persone in organico.
I soldi entravano senza problemi in azienda, i rapporti erano distesi e tutto sembrava andare per il verso giusto.
Ma quando iniziano a vedere molti soldi gli uomini diventano avidi.
I due soci che si occupavano dell’area tecnica e di quella amministrativa avevano iniziato a fare investimenti ad alto rischio in operazioni immobiliari speculative.
Erano gli anni precedenti la crisi economica mondiale e il giochino, fatto all’insaputa di Bruno e della moglie, sembrava profittevole sulla carta. Tanti si sono lanciati nelle speculazioni immobiliari e tanti sono quelli che da queste operazioni sono rimasti scottati, con immobili invendibili sul groppone.
Gli investimenti venivano fatti con la cassa dell’azienda. I ricavi invece, venivano ripartiti tra i due personaggi, in gran segreto.
Quando Bruno e la moglie scoprirono l’inganno, scoppio una lite furibonda.
Mosso dall’orgoglio, spinto dall’impeto passionale e dall’istinto a difendere la sua famiglia dai rischi ai quali, senza saperlo, era stato sottoposto, lasciò la società ottenendo la liquidazione della propria quota.
Avrebbe dovuto ricominciare tutto da zero.
Un paio di anni dopo, i suoi soci furono coinvolti in uno scandalo per appalti truccati e condannati per corruzione.
Bruno, invece, aveva utilizzato i soldi della liquidazione per costituire quella che sarebbe diventata l’azienda di famiglia, la società grazie alla quale fino a pochi anni fa era riuscito a far vivere i suoi cari in maniera più che agiata.
La motivazione, il desiderio di rivalsa, il senso del dovere nei confronti della sua famiglia furono gli ingredienti che alimentarono la sua rinascita e l’ascesa verso il successo della sua azienda. Il fatturato torno di nuovo ai volumi ai quali era abituato, i clienti erano soddisfatti e l’azienda generava profitti.
Fino a quando il settore non fu sconvolto da un nuovo cambiamento.
Da qualche anno a questa parte le società che costruiscono le macchine per ufficio hanno iniziato ad offrirle ai propri clienti con la formula del noleggio. I cambiamenti tecnologici sono repentini e le attrezzature devono essere sostituite rapidamente e manutenute costantemente.
Con una spesa di poco superiore a quella dei consumabili è possibile, oggi, avere in uso anche la macchina.
Ma per tutte quelle aziende come quella di Bruno che avevano basato il proprio fatturato sulla vendita dei toner e degli altri consumabili, quella che è senza dubbio una comodità per il cliente finale ha rappresentato l’inizio della fine.
Man mano che le nuovi stampanti venivano installate dalle società di noleggio, le vendite dei toner calavano e il fatturato si avvitava su se stesso. Ogni anno la sua azienda perdeva circa il 20% del volume d’affari rispetto all’anno precedente. In maniera apparentemente inarrestabile.
Di fronte a questo cambiamento epocale le aziende più piccole di quella di Bruno sono già crollate, schiacciate dal peso dei costi fissi e dei margini bassi, mentre quelle più grandi hanno iniziato una guerra sui prezzi per portarsi via le quote di un mercato sempre più piccolo e meno profittevole.
Rivendere prodotti di terzi in un mercato completamente disintermediato dalla presenza di operatori mondiali in grado di soffocare qualsiasi piccola azienda a forza di sconti e ribassi sui prezzi, può diventare fatale per le aziende medio piccole.
L’ago della bilancia per la sopravvivenza diventano gli agenti di commercio che lavorano sul territorio ed il loro portafoglio clienti che possono spostare rapidamente da una società all’altra.
Margini bassi, prodotti indifferenziati acquistabili ovunque e numero di clienti potenziali in calo sono elementi che spingerebbero qualsiasi commerciale a cambiare casacca in base alla migliore offerta.
Anche Bruno ha visto molti marinai abbandonare la nave.
Nel corso degli anni la maggior parte dei suoi agenti migliori è stata “acquistata” dai concorrenti e con gli uomini è sparita buona parte del portafoglio clienti che questi stavano coltivando. Fino all’inizio di quest’anno quando in azienda ne era rimasto solo uno.
Ecco quali sono gli elementi di rischio che abbassano le tue probabilità di salvare l’azienda dal fallimento
In un’azienda così poco strutturata che vende prodotti facilmente sostituibili, affidare la gestione dei rapporti con la clientela ad una sola persona è un errore imprenditoriale che può costare molto caro.
Il rischio è troppo alto.
Può capitare, ad esempio, che questa persona riceva un’offerta migliore, da un’azienda più grande e perfino da un imprenditore più simpatico. Quando succede tu resti in braghe di tela e la tua azienda, dall’oggi al domani, perde una parte importante del proprio fatturato.
Questo è ciò che è successo ad Bruno poco prima che ci incontrassimo.
Il dipendente in questione aveva trovato lavoro da un concorrente e per mesi aveva lavorato in maniera scorretta per portarsi via buona parte del fatturato nella nuova azienda.
Non so se riesci a immaginare la rabbia che si prova a scoprire di essere stati fregati così.
Per anni lavori fianco a fianco con persone di cui devi fidarti per forza, investi tempo e risorse su di loro, le aiuti a crescere professionalmente, diventano parte della tua famiglia in qualche modo. Capita però che alcuni di loro non ti riconoscano questi meriti e quando succede, è come se a tradirti fosse stato tuo figlio.
Immagini le sensazioni provate da Bruno quando ha visto quella lettera di dimissioni sulla scrivania?
Smarrimento, rabbia, frustrazione… e poi il desiderio di vendicarsi per ciò che quel tradimento avrebbe significato per la sua azienda.
Il fatturato dei mesi successivi è calato in maniera vertiginosa, a causa della perdita dei clienti che il commerciale traditore si era portato via.
Un’azienda che lavora con margini bassi sulle vendite è molto più esposta al rischio che i cali del fatturato creino danni irreparabili all’equilibrio finanziario dell’attività. Ed è quello che è successo all’azienda di Bruno.
I mesi successivi il tradimento furono mesi di smarrimento assoluto.
Bruno sprecava ore, se non giorni a riflettere su quello che era stato, a cercare prove concrete del danno per poter portare in tribunale quel piccolo bas***do traditore al quale aveva insegnato tutti i trucchi del mestiere.
La rabbia gli offuscava la mente, il desiderio di vendicarsi gli faceva perdere di vista le cose importanti.
Purtroppo però, in un Paese come l’Italia un dipendente può danneggiare l’azienda per la quale lavora senza subire chissà quali conseguenze. La prova del danno in una situazione del genere è molto difficile da ottenere e in ogni caso, i tempi della giustizia sono talmente lunghi, che nel frattempo l’azienda fa in tempo a fallire almeno due o tre volte.
Ed è questo che ho cercato di spiegare ad Bruno durante il nostro primo incontro, quando invece di pensare a come salvare la sua azienda ancora cercava una strada per avere avere giustizia per il torto subito.
Come salvare l’azienda dal fallimento intervenendo sull’emorragia di denaro che sta prosciugando le tue casse
Mentre sbolliva la rabbia, l’azienda perdeva denaro ed ogni mese bruciava la liquidità di cassa.
Le vendite non coprivano le spese e i nodi erano arrivati al pettine.
La prima cosa che un imprenditore fa quando la sua azienda non incassa abbastanza denaro è mettere mano al portafoglio. I risparmi della famiglia vengono impiegati in azienda e si va a caccia di nuovi finanziamenti per cercare di restare regolari con i pagamenti e le scadenze.
Azioni confuse, interventi non ragionati, mosse prive di logica. Sono queste le caratteristiche degli interventi che un imprenditore fa all’inizio della crisi della sua impresa.
D’altronde, nessun imprenditore onesto è abituato a vivere situazioni di questo tipo.
Inizi a non pagare qualcosa, a limitare il più possibile le spese ed a tagliare i costi senza alcun motivo preciso, rischiando di sabotare ulteriormente la capacità della tua azienda di generare fatturato.
Mentre fai questo i debiti aumentano ed in poco tempo ti ritrovi in una situazione difficile da rimediare.
Quello che Bruno non aveva mai fatto prima di incontrarmi era stato riclassificare il bilancio in modo da renderlo utile ai fini del controllo della gestione della sua azienda.
Se lo avesse fatto si sarebbe accorto, già tre anni prima, che stava lavorando con dei margini troppo bassi per poter mantenere a lungo quell’equilibrio e con largo anticipo avrebbe potuto mettere in atto delle contromisure per aumentare i margini sulle singole vendite.
L’importanza della diagnosi precoce per salvare l’azienda dal fallimento
La crisi si manifesta con dei segnali ben precisi, che fanno drizzare le orecchie ad un analista esperto.
Dall’analisi che il mio Ufficio Studi aveva preparato per lui era emerso chiaramente che l’azienda in realtà stava marginando pochissimo da tempo, anche quando Bruno pensava stesse andando bene.
Era riuscito a rimanere in equilibrio solo fino a quando gli imprevisti non avevano fatto crollare quel debole castello di carte.
Il responso della diagnosi era stato impietoso.
I costi fissi erano troppo alti rispetto al volume d’affari e non era possibile abbassarli ulteriormente perché erano già ridotti all’osso. Il problema stava nel modello di business della rivendita di prodotti indifferenziati sul prezzo.
In pratica Bruno acquistava i prodotti dai suoi fornitori, li rivendeva ai suoi clienti applicando un piccolo sovrapprezzo, il suo margine, anticipava le fatture per riuscire a pagare le spese correnti e alla scadenza pagava i fornitori.
Solo che non rimanevano che pochi spiccioli che non bastavano a sostenere i costi della struttura.
Quando ne abbiamo parlato, Bruno mi ha fatto una domanda che i miei clienti mi fanno spesso.
“Ma questo non doveva dirmelo il mio commercialista?”
La verità è che no, non poteva dirglielo.
Come non può dirtelo il tuo, a meno che oltre che per i suoi servizi base tu non lo stia pagando per aiutarti nel controllo di gestione della tua azienda.
Il commercialista si occupa di farti rispettare gli adempimenti previsti dalla legge e quindi, di non farti commettere illeciti che comportano sanzioni. Sono pochi, molto pochi quelli organizzati per fornire una consulenza di tipo aziendalistico.
Una scoperta del genere, infatti, viene fuori solo guardando il bilancio adottando una prospettiva di tipo finanziario, che si discosta parecchio dalla forma che il tuo commercialista deve rispettare per preparare i bilanci civilistici e le dichiarazioni dei redditi.
Quando gli ho presentato i numeri, riclassificati in modo da far emergere i segnali di pericolo, ho visto tutte le sue paure manifestarsi sul suo volto.
L’analisi mostrava un’azienda senza un adeguato patrimonio, con una massa debitoria cresciuta a dismisura in poco più di dodici mesi e che non era capace di generare i flussi di cassa per ripagare i prestiti.
Bruciava denaro, ogni mese, inesorabilmente.
Bruno sapeva che le cose non stavano andando bene, ma non era preparato a subire l’impatto della notizia che stavo per dargli. Continuando così l’azienda si sarebbe ritrovata senza più risorse in poco più di quattro mesi e avrebbe dovuto presentare i libri in tribunale.
“E come glielo spiego a mia moglie?”
Questa è stata la sua prima reazione istintiva. La mente è volata alla sua famiglia, alla compagna di una vita alla quale doveva spiegare che i sacrifici fatti e le battaglie combattute sarebbero diventate inutili se non si fossero reinventati, ancora una volta.
Ecco come aumentare i margini di profitto per salvare l’azienda dal fallimento
L’unica strada percorribile per le aziende come quella di Bruno passa da una revisione del modello di business, per concentrarlo su vendite con margini più alti. Non c’è una strada diversa da quella che passa dall’innalzamento dei margini di profitto, se non vuoi fallire.
“Eh, ma è difficile?”
Questo è vero solo in minima parte.
Sicuramente la ricerca di prodotti a più alto margine di profitto richiede tempo e sforzo, ma la verità è che i margini possono essere incrementati, a parità di condizioni, concentrando la propria energia (e investimenti di marketing) su un’unica categoria di prodotti.
Per l’azienda di Bruno abbiamo deciso di focalizzarci su un particolare tipo di toner, da promuovere attraverso il marketing, che ci permette di entrare in contatto con la clientela business che potrebbe essere interessata a risparmiare sul costo per copia a parità di resa del prodotto.
Ma una volta dentro, il nuovo copione commerciale permette di incrementare il valore delle transazioni dal 97% al 194% (secondo i test che abbiamo effettuato).
In realtà, la parte più difficile del cambiamento del modello di business, in situazioni di questo tipo, non è la ricerca di qualcosa di nuovo da vendere.
Ogni imprenditore ha nel cassetto un’idea, un progetto potenzialmente più redditizio di quello che sta portando avanti con sudore e lacrime.
Il problema è che mentre pensi al prodotto da vendere, riorganizzi l’azienda, revisioni le procedure e rivedi le strategie commerciali devi anche fare fronte alla gestione ordinaria. Hai fornitori da contattare, dipendenti da indirizzare, banche da interpellare e, in generale, i problemi da risolvere.
È meno semplice di quello che si pensi perché il cambio di modello di business deve essere fatto in corso d’opera, perchè l’azienda non si può fermare.
“Come finanziare questo cambiamento radicale?”
In una condizione di difficoltà finanziaria, questo cambiamento radicale può essere realizzato solo intervenendo sul debito già accumulato, sulle uscite di cassa previste per il suo rimborso e sugli importi da restituire.
D’altronde che nessuna banca sarebbe disposta a finanziare un’azienda in crisi dovrebbe ormai essere chiaro ad ogni imprenditore che legge queste pagine da qualche tempo.
Ecco perché è importante una pianificazione finanziaria precisa, che permette a Bruno di controllare ogni singolo centesimo in entrata e in uscita dai suoi conti correnti con una prospettiva di almeno 120 giorni.
“E questo basterà a salvate la mia azienda dal fallimento?”
Una strategia di gestione delle esposizioni unita ai cambiamenti nel modello di business che andremo a realizzare permetterà di abbassare notevolmente il rischio di fallibilità dell’azienda di Bruno ed in generale il rischio d’impresa.
Nella versione riprogettata della sua azienda l’azienda non farà più da intermediario tra i fornitori e gli utilizzatori finali, ma fatturerà solo i margini generati dalle transazioni.
In questo modo il fatturato calerà al di sotto delle soglie di fallibilità mentre il profitto che Bruno riuscirà a ricavare dal suo lavoro aumenterà in funzione del fatturato che riuscirà ad incrementare, anche grazie alla disponibilità di risorse finanziarie per fare gli investimenti.
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Ad maiora
Giuseppe