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I casi di ristrutturazione aziendale non sono tutti uguali: spesso mi capita di progettare e realizzare piani di risanamento aziendale per imprese che all’apparenza non sono in crisi ma che, dando un’occhiata più attenta ai numeri, si rivelano molto fragili e finanziariamente esposte.
Prima di raccontarti quello che abbiamo realizzato con Luca, un mio assistito con una bella azienda edile che rischiava di perdere l’equilibrio economico-finanziario per cause non dipendenti dalla volontà dell’imprenditore, voglio farti una domanda alla quale mi piacerebbe una risposta sincera.
Hai mai provato la sensazione di lavorare tanto e non riuscire a guadagnare mai abbastanza?
Sai quella sensazione di frustrazione mista a stanchezza che ti assale quando esci dal lavoro e cammini verso la tua auto, sapendo che hai fatto del tuo meglio, ma… c’è una parte di te che è consapevole del fatto che non sia ancora sufficiente.
Vorresti più tempo per far crescere la tua azienda, migliorarla e portarla al livello successivo.
Ma nonostante i tuoi sforzi, sei sempre lì a inseguire le fatture, a cercare di rispettare le scadenze, a coprire le spese per le tasse e i contributi dei dipendenti, anche a costo di rinunciare al tuo stipendio.
Sembra sempre che tu sia bloccato nella stessa posizione e non riesca a uscirne.
Questo era quello che provava Luca quando ci siamo conosciuti qualche anno fa, dopo che aveva letto un articolo simile a questo, sponsorizzato su Facebook.
Luca appartiene alla seconda generazione di una famiglia di imprenditori edili, una di quelle che ha vissuto gli anni d’oro dell’edilizia in Italia e che è sopravvissuta alle crisi che si sono abbattute sul settore a partire dai primi anni duemila.
Loro erano rimasti in piedi.
Padre e figlio fianco a fianco nella più importante impresa di costruzioni di un piccolo paese del nord Italia.
Una situazione privilegiata se paragonata alla sorte toccata a tante imprese del settore, falcidiate nell’ultimo ventennio, schiacciate da marginalità ridotte, difficoltà commerciali e aumento degli impedimenti burocratici.
A differenza di tanti loro colleghi, non avevano dovuto affrontare nessuna situazione di crisi conclamata e godevano del vantaggio di una reputazione solida, costruita in 35 anni di lavoro ben fatto in un territorio ben circoscritto, che gli garantiva un fatturato stabile e l’appoggio di fornitori e banche locali.
L’azienda di Luca e di suo padre era un punto di riferimento per le costruzioni nella loro zona.
Tutti avevano stima dei due titolari, clienti e fornitori.
I lavori non mancavano, il fatturato era costante da anni, salvo piccole oscillazioni stagionali tipiche del settore edilizio, e tutto sembrava funzionare normalmente.
Quando ci ha contattati l’azienda contava 10 dipendenti , organizzati in due squadre di lavoro, oltre ai due imprenditori.
Tutti venivano pagati regolarmente e l’azienda versava i contributi senza ritardi.
Certo, non avevano accantonato un centesimo per il Trattamento di Fine Rapporto dei dipendenti, ma d’altronde questa è una cattiva abitudine molto radicata nelle PMI: quando un dipendente va via, la liquidazione del TFR si paga a rate, se la cifra è modesta, o si copre con un debito bancario nel caso vada via un dipendente storico.
Anche dal punto di vista fiscale era tutto a norma, le imposte venivano onorate nei termini di legge e l’azienda non aveva accumulato nessun arretrato.
All’apparenza la loro azienda era un’impresa sana, con un giro di cassa importante e, in quanto tale, veniva corteggiata dalle banche che, ogni fine anno, si proponevano con nuove linee di credito.
Dall’esterno, sembrava che le cose non andassero così male.
Ma perché un imprenditore in una situazione simile, dovrebbe interessarsi ad un articolo che parla di soluzione della crisi d’impresa, come aveva fatto Luca?
Perché un’azienda all’apparenza sana necessita di un piano di risanamento aziendale?
Ogni bella storia ha spesso un’altra faccia della medaglia.
L’impegno degli imprenditori sul campo impediva loro di prestare attenzione alla gestione finanziaria aziendale ed è proprio da quell’area che emergevano segnali di crisi che minavano la continuità aziendale e che, se trascurati, nel medio periodo avrebbero portato l’organizzazione al collasso.
Ma come può un’impresa che genera utili ritrovarsi in stato di crisi ad aver bisogno di una ristrutturazione aziendale?
Tutto dipende dal modo in cui utilizzi i prodotti finanziari.
La buona reputazione con le banche è una lama a doppio taglio che, se non gestita con attenzione, può ritorcersi contro come un boomerang.
Spesso capita che, aziende come quella di Luca e di suo padre, che hanno un buon merito creditizio, facciano un uso molto allegro delle linee di credito, tentati dalle diverse proposte avanzate dai direttori delle banche con cui intrattengono rapporti di credito.
Se i tassi di interesse sono buoni, perché non approfittarne?
L’azienda di Luca lavorava con quattro istituti diversi che gli avevano concesso anticipi fatture, castelletti per le ricevute bancarie, finanziamenti e fidi di cassa: ogni anno le banche si presentavano con una nuova proposta commerciale e, ogni volta, gli imprenditori accettavano le proposte con l’obiettivo di crearsi una “riserva di liquidità”.
Ma poi le buone intenzioni, come i propositi che ognuno di noi fa il giorno di capodanno, si scontravano con la realtà di tutti i giorni e gli affidamenti finivano per essere completamente utilizzati nel giro di poco tempo.
I debiti dell’impresa nei confronti delle banche aumentavano, i fidi erano sempre in tensione, e il rating era messo a rischio dagli insoluti sulle fatture non pagate da alcuni clienti: Luca era stato costretto più volte a coprire gli anticipi aprendo nuove linee di credito o rimettendoci di tasca sua.
Le garanzie rilasciate a fronte dei prestiti erano “abbondanti”.
Negli anni avevano pagato i consorzi di garanzia, avevano rilasciato fideiussioni personali, avevano sottoscritto i contratti di copertura del Medio Credito Centrale e si erano esposti molto per garantire gli istituti di credito.
Ma non si erano limitati a questo.
Una buona reputazione commerciale garantisce l’accesso a condizioni di pagamento privilegiate da parte dei fornitori e, in assenza di un controllo di gestione strategico adatto alle caratteristiche del business ed a una buon lavoro da parte dell’ufficio acquisti, il debito commerciale era aumentato.
Sempre tutto pagato eh, ma il bilancio ne risentiva.
Ad appesantire la situazione c’era la concorrenza, sempre più aggressiva e sleale.
Il settore edile è una giungla da questo punto di vista, come pochi altri.
Pochi ma aggressivi artigiani riescono a portare via clienti alle imprese più strutturate battendole attraverso la proposta di prezzi concorrenziali, permessi dal fatto di non dover sopportare i costi dell’organizzazione e spesso della regolarità nel pagamento dei contributi e nel rispetto delle norme per la riduzione del rischio sul lavoro.
Soprattutto nei casi in cui non ci sono elementi differenzianti importanti nel business aziendale, come nel caso di Luca, la guerra si gioca tutta sui prezzi.
E spesso le aziende strutturate perdono la partita.
Per non farsi mancare nulla, l’impresa di Luca era scoperta sul fronte del TFR per i dipendenti, poiché non avevano accantonato neanche un centesimo da liquidare in caso di pensionamento o interruzioni contrattuali con i collaboratori storici.
E alcuni di loro lavoravano con la ditta da più di 30 anni.
Il debito per il Trattamento di Fine Rapporto viene sottovalutato da tantissimi imprenditori, ma è un elemento che rischia di peggiorare la posizione finanziaria netta dell’azienda di punto in bianco se, come faceva Luca, per liquidare un dipendente che raggiunge l’età della pensione sei costretto ad aprire una nuova linea di credito per liquidare il TFR.
Questi sono alcuni dei problemi che possono portare un imprenditore a non raggiungere gli obiettivi desiderati ed a restare esposti al rischio di affrontare una situazione di crisi che rischia di rovinare il lavoro di una vita, di azzerare la ricchezza accumulata dall’imprenditore ed a perdere la stima guadagnata tra i propri concittadini.
Quali sono i rischi per un’azienda se un imprenditore non reagisce ai primi segnali di crisi con un piano di risanamento aziendale?
Gli imprenditori che sono in attività da lungo tempo e hanno visto come le generazioni precedenti di imprenditori hanno gestito
la loro azienda, sono portati a continuare con lo stesso stile di gestione, perché credono che funzionerà a prescindere.
Spesso, neanche i cambi generazionali non bastano ad introdurre approcci innovativi e “al passo con i cambiamenti del mercato”, necessari non solo a garantire la continuità aziendale anche durante i periodi di crisi economica, ma anche a dotare l’azienda di una struttura finanziaria solida al punto da permettergli di crescere nel tempo.
Il problema principale di Luca e, più di tutto, di suo padre era proprio questo: la resistenza ad apportare qualunque modifica a un equilibrio che andava avanti quasi da mezzo secolo.
Un equilibrio fatto di relazioni intessute nel tempo, conoscenze, parola sempre onorata, lavori presi grazie al passaparola e al buon nome dei titolari, stessa squadra, stesso metodo, stesso approccio, tradizione, qualità e onestà.
Ma un equilibrio fragile, anzi, fragilissimo, derivante:
- la totale assenza di controllo sulla gestione finanziaria che li aveva esposti ad un eccessivo aumento dell’indebitamento e all’esposizione degli immobili di famiglia, nonché dei risparmi accumulati grazie al duro lavoro, al rischio di escussione da parte degli istituti di credito;
- dalla mancanza di fattori di differenziazione, che li aveva resi vulnerabili alla concorrenza degli artigiani irregolari;
- dall’assenza di qualsiasi struttura di vendita e marketing che potesse catalizzare nuovi lavori e nuovi progetti, esponendo l’azienda alla crisi in caso di repentino calo del fatturato;
- dalla carenza di qualsiasi sistema che possa in qualche modo garantire la continuità del business.
- dall’assenza di accantonamenti per indennità di fine rapporto da versare in caso di licenziamento o pensionamento.
A ben guardare, una situazione non proprio rosea come quella che appariva all’inizio.
Ecco perché nonostante il lavoro, Luca sentiva quel peso sullo stomaco.
Un indizio che aveva cercato di approfondire il commercialista dell’azienda, ma non ci era riuscito.
D’altronde erano nelle mani di un professionista molto in gamba nella sua materia e certamente molto attento e preciso, ma pur sempre con competenze limitate agli aspetti contabili, amministrativi e burocratici: gli mancava la visione d’insieme sugli aspetti di gestione finanziaria e imprenditoriale che una situazione come quella dell’azienda di Luca avrebbe richiesto.
Tutto ciò che il caso aveva consigliato era di fare attenzione a non esporsi troppo.
Quando le cose si mettono così, è questione di tempo prima che l’azienda si trovi ad affrontare una situazione di crisi ed è per questo che è meglio iniziare a ragionare sulla ristrutturazione aziendale.
Prevenire è meglio che curare.
Quando si può pianificare il risanamento aziendale?
Quando Luca si rivolse a noi, guardammo il bilancio e lo riclassificammo in modo da poter identificare dove stava perdendo denaro.
D’altronde l’azienda stava accumulando debiti e non c’erano stati investimenti significativi che giustificassero un simile incremento nell’esposizione finanziaria: era chiaro che il bilancio nascondesse le perdite accumulate, bisognava solo capire da dove derivassero.
Se anche tu ti trovi in una situazione simile presta molta attenzione, perché se non ci sono investimenti significativi e l’aumento dell’indebitamento non è giustificato da un incremento di fatturato quanto meno pari, se non superiore, all”incremento del debito, è molto probabile che rischi una crisi aziendale.
In base ai segnali individuati dall’analisi di bilancio, siamo partiti a risolvere un problema importante: le vendite sottocosto.
Abbiamo passato al setaccio il sistema di budgeting per comprendere l’impatto dei singoli progetti sul conto economico e sul risultato finanziario dell’azienda.
Questa analisi ha rivelato che molti progetti, che sulla carta sembravano redditizi, in realtà erano stati chiusi in perdita.
Se non sei nel settore edile forse non sai che una caratteristica tipica del modello di offerta commerciale adottato dalle imprese di costruzione è quello di puntare all’offerta col prezzo più basso per portare a casa la commessa e recuperare dopo la marginalità con la proposta di opere incrementali, spesso indispensabili.
La classica tecnica del “piede nella porta”.
D’altronde, una volta terminato l’estenuante iter burocratico che ti permette di iniziare la costruzione e abbattute le prime pareti, non è che cambi la ditta se ti chiedono un extra-budget per spostare la traccia della presa di corrente, no?
Altrimenti corri il rischio che ti lascino lì in sospeso, senza nemmeno portarsi via i calcinacci.
Al di là dell’etica di questo approccio, di fatto nel settore funziona così e, come sai se mi segui da un po’, non sono uno che perde tempo a lamentarsi sui massimi sistemi: molte imprese del settore operano così, a qualunque livello.
Pensa che negli appalti questa tecnica ha una definizione giuridicamente riconosciuta: si chiama “variante in corso d’opera”.
Sai qual è il risultato di questo approccio sui conti aziendali?
La totale assenza di controllo sui numeri e sugli effettivi guadagni che possono condurre, appunto, a una perdita invece che ad un profitto.
Come fare una ristrutturazione aziendale?
Si parte sempre dall’origine dei problemi e si eliminano, una alla volta, tutte le anomalie.
Per questa ragione siamo partiti proprio dal sistema di preventivazione, realizzando un nuovo modello che tenesse conto di questo “approccio alla vendita” e di numerose altre spese che Luca ignorava puntualmente e che invece dovevano essere prese in considerazione per capire se valesse la pena accettare determinate commesse o meno.
L’immediato risultato di questo nuovo approccio è stato un calo del fatturato nei due anni successivi.
Un effetto che ha certamente spaventato gli imprenditori, ma, al tempo stesso, ha permesso loro di sganciarsi dalla logica della “rincorsa al fatturato e alle fatture anticipate” e avere la possibilità di selezionare solo quelle commesse che portavano loro solo effettivi guadagni.
In altre parole, così facendo, è calato il fatturato, ma sono aumentati i margini di guadagno, tanto da riuscire a gestire una grossa mole di debiti e chiudere addirittura tre posizioni debitorie a stralcio.
Affrontata questa fase, se vogliamo preparatoria alle successive, abbiamo infatti continuato con il piano degli interventi di risanamento aziendale che includeva:
- l’abbattimento dei costi di gestione attraverso la riduzione del personale, giustificato dal minor numero di commesse,
- la liquidazione dei debiti verso i dipendenti per TFR senza contenzioso, con una in 48 mesi degli importi dovuti,
- la vendita di asset e beni in magazzino non più strategici, dato il processo di ottimizzazione dei lavori e la riduzione del personale,
- la negoziazione con le banche e la chiusura a stralcio di quattro posizioni debitorie, saldate con le somme accumulate nel frattempo dall’imprenditore e con quelle derivanti dalla liquidazione degli asset, con un risparmio complessivo di 350.000 euro,
- la predisposizione, d’intesa con il commercialista, di un sistema di controllo di gestione che garantisse all’imprenditore il monitoraggio dello stato di salute dell’impresa
I risultati di un piano di risanamento aziendale ben riuscito
Un’operazione durata due anni, non senza sofferenze e resistenze da parte della vecchia guardia, che ha dovuto lavorare molto per rompere i vecchi equilibri e impostarne di nuovi.
Alla fine del progetto di risanamento aziendale, l’azienda di Luca e suo padre è riuscita a:
- ottimizzare i lavori a favore di quelli a miglior margine di profitto,
- abbattere completamente la massa debitoria,
- stringere contratti quadro con artigiani locali per l’espletamento di specifici lavori senza intaccare in maniera significativa i costi di gestione,
- ripristinare l’equilibrio finanziario, libero dai debiti e da tutti i costi e gli oneri a questi connessi,
- ritrovare la via della crescita generale grazie alla maggiore serenità e il maggior tempo che Luca ha potuto dedicare allo sviluppo di nuovi progetti aziendali,
- proteggere il patrimonio personale dalle garanzie rilasciate,
- ottenere pagamenti anticipati dai clienti,
- riconvertire l’azienda su una proposta di servizi a più alto margine,
- stringere joint-venture strategiche alla crescita dell’azienda attraverso nuovi progetti edilizi, come di altra natura.
Queste le parole dell’imprenditore al termine dei lavori:

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