

La crisi Melegatti è una di quelle che lasciano con l’amaro in bocca, un senso di insoddisfazione profonda e la sgradevole sensazione di una sconfitta annunciata. Soprattutto per chi, come me, vive continuamente situazioni di crisi aziendale.
Diventata di dominio pubblico ormai da qualche mese, quella della crisi Melegatti è stata raccontata come una storia natalizia di solidarietà nazionale, anche grazie alla campagna social #NoiSiamoMelegatti promossa dagli stessi dipendenti dell’azienda per invitare le persone a sostenere il rilancio con l’acquisto dei pandori.
Il tracollo di una realtà industriale centenaria, la protesta dei lavoratori senza stipendio, la chiusura degli stabilimenti, il cavaliere sul suo cavallo bianco pronto a finanziare la campagna e salvare il Natale.
Aveva tutti gli elementi per diventare una splendida favola natalizia, così però non è stato.
La Melegatti, l’azienda veronese che ha inventato il pandoro sdoganando un dolce natalizio della tradizione per farlo conoscere al grande pubblico, sta attraversando una crisi senza precedenti e nonostante gli sforzi, il tentativo di salvataggio ad opera di un fondo d’investimento maltese sembra ormai prossimo al fallimento.
Ad un passo dal lieto fine insomma pare che la fiaba si trasformi in una tragedia.
Non sembrano passati molti anni da quando ancora bambino sognavo di vincere la Ferrari Testarossa del concorso a premi pubblicizzato sulle scatole azzurre del pandoro ed è con una certa nostalgia che ho portato avanti le mie ricerche sulla crisi Melegatti, per interesse didattico e per placare il bambino nostalgico che ancora vive in me.
Andando a scavare nella storia dell’azienda ho scoperto che dalla morte del presidente Salvatore Ronca sono stati attraversati diversi momenti di grande difficoltà. I problemi di produzione, i margini risicati sulle vendite, la perdita di potere contrattuale nei rapporti con la grande distribuzione e le liti interne tra i soci.
Ma nessuna di queste fasi di assestamento aveva mai ridotto così tanto le probabilità di sopravvivenza dell’azienda che ha creato il pandoro e che fino a qualche anno fa dominava il mercato dei dolci da ricorrenza.
Cosa ha fatto scoppiare la crisi Melegatti?
Non essendo un’azienda quotata le informazioni sono molto limitate e ridotte da numerosi accordi di riservatezza, ma scavando pare si possa affermare che il tutto derivi da errate scelte manageriali.
Nel tentativo di scollegare le sorti del fatturato dal periodo natalizio, la dirigenza ha deciso di puntare sulla realizzazione di un impianto per la produzione di dolci non stagionali.
Basta con soli pandori e panettoni, via alla conquista del mercato!
Per portare avanti un’iniziativa del genere è necessario ovviamente investire parecchio, con il risultato in questo specifico caso di prosciugare i conti aziendali con la realizzazione del nuovo stabilimento e dalle rate dei prestiti accesi per realizzarlo.
La liquidità è stata bruciata velocemente, al punto che in Agosto, nella fase iniziale della campagna natalizia, non c’erano i soldi per pagare i dipendenti e i fornitori delle materie prime. Un vero e proprio disastro finanziario.
Dal punto di vista dell’immagine aziendale, l’azienda se l’è vista anche peggio.
Nel goffo tentativo di invertire la tendenza al ribasso delle vendite, il reparto marketing ha iniziato a promuovere campagne social dall’esito contrario a quello desiderato, portando l’azienda a perdere la sua focalizzazione e la leadership nel settore dei dolci da ricorrenza.
Campagne con tendenze omofobiche e testimonial dalla dubbia utilità hanno peggiorato la situazione rendendo l’azienda sempre più debole e fiacca.
Gli errori accumulati dalla Melegatti sono senza dubbio la causa della tragedia alla quale stiamo assistendo in questi giorni, che porterà l’azienda, già sotto il controllo del tribunale, ad una fase di crisi ancora peggiore.
Le tensioni interne non accennano a placarsi e il fondo che ha finanziato la campagna natalizia sperando di comprare a prezzo di saldo l’intera azienda ha dovuto fare i conti con il passo indietro fatto dalla proprietà, che non vuole vedersi portar via il frutto del lavoro di più generazioni di imprenditori per poco più di un tozzo di pane.
Poco importa che l’azienda stia fallendo. Per un imprenditore la sua azienda in crisi ha un valore che va al di là del fatturato e dei freddi numeri.
Nelle ultime ore, a quanto pare, il fondo maltese ha imbarcato nel tentativo di scalata alla Melegatti un socio industriale, un potenziale concorrente dell’azienda per rendere più accettabile l’offerta già rifiutata dalla società.
Ma non voglio dilungarmi su questi aspetti già ampiamente trattati da Frank Merenda in un articolo dedicato agli errori di posizionamento della Melegatti e da Matteo Lenardon nella sua lucida analisi delle cause della crisi Melegatti e su quello che rappresenta per il sistema industriale italiano.
Mentre scrivo la scalata “ostile” del fondo maltese non si è ancora conclusa ed il destino dell’azienda è appeso ad un filo, è dunque difficile dare un’opinione definitiva sui fatti.
Quello che intendo fare invece è concentrarmi sull’aspetto più trascurato di questa storia, quello che sta capitando sotto gli occhi di tutti. Essendo la gestione della crisi il mio lavoro, quello che più mi ha sconvolto sono state gli innumerevoli errori, portati avanti da chi avrebbe dovuto risolvere questa situazione.
Già perché le azioni fatte per arginare la crisi Melegatti sono disconnesse, prive di logica e destinate a fallire inesorabilmente. E lo sono state fin dal principio.
Non c’è stato un piano organico e ben strutturato per salvare l’impresa, ma goffi tentativi di raggiungere un risultato irrealizzabile senza una strategia adeguata, messi in atto in maniera confusa, in base alle emergenze del momento.
Gli errori che sono stati commessi in questa fase non sono mancanze che pensavo possibili da parte di un’azienda di questo calibro con professionisti di questo spessore, tuttavia i fatti hanno dimostrato il contrario.
Molti degli errori che ho notato studiando il caso Melegatti vengono commessi continuamente dagli imprenditori in difficoltà quando si trovano ad affrontare una situazione di tensione finanziaria.
Ed è per questo che devi leggere fino in fondo questo articolo se vuoi evitarli.
I 4 errori fatali commessi nella gestione della crisi Melegatti
Errore # 1 – La gestione dei rapporti con i fornitori e gli effetti negativi sulla crisi Melegatti
In Melegatti mancavano la farina e il burro. Sembra una barzelletta, ma è esattamente questa la realtà dei fatti. I fornitori infatti, annusando nell’aria i problemi della famigerata azienda, hanno bloccato la fornitura.
È indispensabile per un’azienda che non vuole portare i libri in tribunale e dichiarare fallimento continuare a fatturare.
Senza produzione o continuando a vendere in perdita l’azienda ha una vita molto breve.
Di norma dunque andrebbero eliminate tutte quelle linee che fanno vendere in perdita, e bisognerebbe concentrare ogni energia su pochi prodotti sui quali c’è margine, aumentandone la vendita, grazie a svariate e mirate azioni di marketing.
“Eh, ma se l’azienda è in crisi e i soldi non ci sono, non posso pagare i fornitori!”
Se la produzione non si è fermata, in realtà questa obiezione non è mai del tutto vera.
Ho conosciuto migliaia di imprenditori, la maggior parte dei quali in seria difficoltà finanziaria e posso assicurarti che un’azienda deve sempre incassare dei soldi, se si esclude chi si mobilita davvero troppo tardi.
E non sto parlando dei soldi che devi incassare da quel cliente che ha chiuso due anni fa. Parlo dei soldi che mese dopo mese entrano in azienda.
Il problema è che questi soldi, normalmente, vengono destinati a pagare le cose sbagliate.
Un’azienda in crisi infatti deve utilizzare le poche risorse che ha per finanziare le forniture essenziali a garantire la produzione, non dividere il fatturato secondo la mentalità “un po’ per tutti”, sperando in questo modo di non far arrabbiare nessuno.
“E se questi soldi non bastano?”
Il segreto in una situazione del genere è trattare con i tuoi fornitori, ma per farlo devi presentare loro un’offerta che sia vantaggiosa.
Coinvolgerli in un progetto che permetta alla tua azienda di non anticipare i costi delle forniture ed a loro di guadagnare più di una semplice fattura è la strategia migliore.
I progetti di collaborazione tra aziende sono poco pubblicizzati e poco diffusi, anche se esistono norme specifiche per tutelare le parti in causa.
Nel mio libro, Aziende che si finanziano da sole, ho dedicato un intero capitolo a questo argomento. Quindi se vuoi approfondire il tema ti consiglio di prenotare la tua copia cliccando qui.
In una situazione di crisi come quella della Melegatti, nella quale l’azienda ha una miriade di fornitori che vivono praticamente soltanto grazie ai suoi acquisti, creare una rete di salvataggio fatta di fornitori è un progetto tutt’altro che irrealizzabile.
“Ma io non sono in questa condizione privilegiata…”
Poco importa.
Un fornitore non ha vantaggi nel vederti fallire e se non è un imbecille o un pazzo sadico lo sa anche lui, quindi formula la tua proposta e vai, non sarà uguale a quello di Melegatti, certo, ma il concetto alla base è il medesimo: tu non chiudi, lui non perde i suoi soldi.
Errore # 2 – Il problema dipendenti: come la resa di fronte ai sindacati ha affossato ancor di più Melegatti
La crisi Melegatti è stata ingigantita dal modo in cui sono stati gestiti i rapporti con i dipendenti e dal metodo scelto dalle rappresentanze sindacali per tutelare la forza lavoro.
Come nella maggior parte delle crisi industriali i sindacati hanno indetto i picchetti dei lavoratori davanti alle porte della fabbrica, cercando di creare l’attenzione mediatica necessaria a costringere la dirigenza dell’azienda a rivedere le proprie scelte.
Succede sempre così.
L’imprenditore in crisi interviene drasticamente tagliando i costi del personale, il sindacato interviene e lo “costringe” a tornare sui suoi passi, l’azienda taglia un’altra spesa a caso e dopo qualche mese si blocca la produzione perché i soldi finiscono.
Se le dimensioni lo permettono, il sindacato organizza una vera e propria manifestazione e chiama i giornalisti a testimoniare la “lotta di classe”. Tanto è vero che tutti gli articoli che parlano di crisi aziendali affrontano il problema dei lavoratori, mai quello industriale.
Queste iniziative però portano più danni che benefici. E la crisi Melegatti non è stata l’eccezione alla regola.
Oltre all’attenzione dei giornalisti i picchetti sindacali hanno attirato quella dei fornitori, che hanno rivisto le proprie condizioni ed hanno abbandonato la barca che affondava.
Il risultato è stato, come accade sempre, quello di costringere l’azienda a comprare a condizioni peggiori delle precedenti. Parrebbe, infatti, che le materie prime della campagna #NoiSiamoMelegatti siano arrivate da un concorrente interessato ad acquisire l’azienda ad un prezzo stracciato e non dai fornitori storici.
Quindi, in pratica, il miope tentativo di allungare di qualche mese il rapporto di lavoro riduce drasticamente le possibilità di un intervento industriale serio da parte dell’imprenditore che si ritrova, spalle al muro, a ritrattare sulle decisioni prese nell’interesse della fabbrica e del futuro dell’azienda.
Ora, sia ben chiaro.
Che l’azienda abbia una funzione sociale da difendere è sacrosanto, ma in determinate fasi della vita aziendale è necessario che ognuno faccia la propria parte per cercare di salvarla. Nell’interesse di tutti, lavoratori compresi.
Questo vuol dire che l’imprenditore deve sfruttare tutti i mezzi che lo Stato mette a disposizione per ridurre l’incidenza del costo del personale, liberare la liquidità e destinarla alla produzione ed alla vendita.
Se però, una volta fatto questo, si ritrova davanti un sindacato in grado solo di puntare i piedi, pretendendo le medesime condizioni di sempre in un evidente momento di difficoltà… ecco non si andrà da nessuna parte. No. no. E ancora no. Non sto dicendo che è giusto che l’imprenditore faccia ciò che più lo aggrada con la vita dei lavoratori.
Ci sono, come sempre, compromessi vantaggiosi per tutte le parti in gioco.
La solidarietà dei lavoratori nel piano Melegatti poteva, ad esempio, essere manifestata sfruttando i benefici della Legge Marcora del 1985, che avrebbe permesso loro di ottenere dallo Stato i fondi per finanziare la produzione.
Ma l’errore principale è stato commesso dagli imprenditori ed è un errore che in tanti, forse troppi, commettono spesso.
In linea di principio in ogni crisi aziendale i dipendenti devono essere coinvolti nel processo di risanamento e l’imprenditore deve prendere decisioni che, seppur impopolari, gli permettano di rilanciare l’azienda.
Quindi, quando sacrifichi i tuoi ultimi risparmi per pagare lo stipendio di un dipendente nemmeno tanto essenziale per la tua azienda, non stai facendo la scelta giusta, stai agendo senza una visione d’insieme, mettendo in tal modo le basi per una crisi ancora più profonda, per te e per tutti quelli che vivono grazie alla tua azienda.
Rimandare le scelte più dolorose, allungare l’agonia dei licenziamenti necessari non farà altro che compromettere ogni tentativo di risanamento.
Nel caso Melegatti i soldi del fondo maltese sono stati per la maggior parte destinati a pagare gli stipendi dei dipendenti e non a dare forza alla campagna vendite, con il risultato che quello che è stato un successo social è diventato un fiasco operativo.
“Bene, ho capito, quando non sarò più in grado di pagargli lo stipendio li licenzierò!”
Ehm…no, non è così che deve andare.
La gestione di una crisi coinvolgendo i dipendenti deve essere pianificata attentamente non appena si notano i primi segnali di crisi.
In quella fase sei nelle condizioni pianificare le esigenze industriali e di negoziare con i dipendenti ed i sindacati le azioni da compiere per salvare l’azienda e la sua funzione sociale. Altrimenti, come la Melegatti, ti ritroverai sotto scacco in una lotta di sopravvivenza con i lavoratori.
E sappiamo già chi vincerà, giusto?
Errore # 3 – Il tempismo: i danni irrimediabili causati dalla lentezza delle azioni nella crisi Melegatti
Una delle cose peggiori che un imprenditore possa fare per la sua azienda è far finta di niente, sperando tutto si sistemi.
Agire tuttavia non significa compiere qualche casuale azione generica.
La lentezza nel reagire dimostrata dai vertici dell’azienda, dalla proprietà e dai consulenti scelti è senza dubbio l’ingrediente che ha trasformato errori gestionali “normali” in una crisi senza precedenti. L’elemento che ha trasformato la crisi Melegatti in un vero e proprio caso senza soluzione, o quasi.
Fare impresa comporta dei rischi ed è, quindi, normale commettere degli errori di valutazione che possono causare una grave tensione finanziaria o una vera e propria crisi aziendale.
La differenza tra le aziende che si salvano e quelle che non ce la fanno sta nella capacità dell’imprenditore di cogliere i segnali di crisi e intervenire velocemente e con efficacia.
Quando sei già affondato, le vendite sono ferme, non hai soldi per produrre o acquistare merci da rivendere e magari ti hanno anche pignorato qualche conto corrente, è già troppo tardi. E pagherai a caro prezzo la tua lentezza.
La crisi Melegatti non è scoppiata all’improvviso nel mese di agosto, quando hanno riaperto i magazzini per prendere i sacchi di farina e si sono accorti che non ce n’erano abbastanza. Anche il più inesperto dei magazzinieri avrà notato, qualche mese prima, che non arrivavano i panetti di burro necessari alla produzione.
C’erano quindi tutte le avvisaglie per arginare prima la situazione.
Non sempre questo si verifica, o perlomeno, non sempre i segnali sono così evidenti, ma puoi imparare a riconoscerli, leggendo il mio ultimo libro: Aziende che si finanziano da sole, nel quale puoi trovare un’intero capitolo dedicato a come riconoscere i segnali di crisi e come affrontarli creando le basi per autofinanziare la tua azienda.
Clicca qui per scaricare GRATIS il primo capitolo.
Errore # 4 – “Non avere una strategia”: le conseguenze disastrose della mancanza di pianificazione
“A marzo mi si sbloccano 10 mila euro e pensavo di metterli in azienda per abbassare le esposizioni”.
Questa è stata la frase pronunciata da un imprenditore mio cliente qualche giorno fa, durante il nostro periodico incontro nel quale tracciamo le linee della nostra strategia.
Esistono due modi per utilizzare il denaro in azienda. Quello giusto e quello sbagliato.
Come distinguerli?
È giusto portare avanti un investimento che ti consenta di avere un ritorno economico.
È sbagliato affrontare una spesa, dalla quale non ricaverai nulla.
Questo è ancora più vero quando si deve affrontare una crisi aziendale complessa come quella della Melegatti.
Il fondo maltese coinvolto nel salvataggio ha investito 6 milioni di euro o 800 mila se invece ascoltiamo la voce dei sindacati. Il problema non sta nell’esatta cifra, ma in COME questi soldi, veri o presunti, siano stati utilizzati.
A pochi giorni dal Natale la Melegatti ha riacceso i suoi forni, impastato la farina col burro e prodotto centinaia di migliaia di pandori, che nessun distributore era pronto ad acquistare, mettere a scaffale e vendere.
Tanto è vero che il successo mediatico della campagna #NoiSiamoMelegatti si è scontrato con la carenza di prodotto nei punti vendita, che ha reso inutili gli sforzi di solidarietà di chi avrebbe acquistato il pandoro con la scatola azzurra.
A cosa stava pensando chi ha deciso di investire in questo modo i soldi che sono arrivati a pochi giorni dal Natale?
Possibile che nessuno abbia realizzato che, non avendo la possibilità di vendere direttamente al cliente finale, i bancali sarebbero rimasti nei magazzini perché i punti vendita erano già allestiti per le feste e lo spazio era già occupato?
Il risultato di questa gestione poco strategica del denaro è stata la chiusura della più disastrosa campagna natalizia della storia dell’azienda.
“E quindi cosa devo fare, non devo mettere i soldi in azienda?”
Spesso è necessario, ma tutto cambia in base a come lo fai.
La gestione del denaro in un’azienda in crisi deve seguire un’attenta pianificazione strategica e deve avere come obiettivo principale quello di massimizzare la resa di ogni singolo centesimo investito.
Altrimenti i soldi che entrano nelle casse vengono bruciati rapidamente, lasciando l’amara sensazione di aver perso anche l’ultimo treno per una manciata di secondi.
Puoi scoprire come realizzare il piano strategico di gestione del tuo denaro acquistando il mio libro, Aziende che si finanziano da sole.
Clicca qui per scaricare GRATIS il primo capitolo.
Come finirà la crisi Melegatti?
É difficile fare pronostici sulla crisi di un’azienda senza aver analizzato nel dettaglio tutti i numeri e l’analisi non può essere portata a termine senza avere un confronto diretto con l’imprenditore o la dirigenza che lo sta aiutando.
Ma si possono fare delle ipotesi molto realistiche.
Un’imprenditore in crisi ha, in linea di massima, tre possibilità di venire fuori dalla situazione di stallo che precede la chiusura dell’azienda e la dichiarazione di fallimento.
- Investire tutto il suo patrimonio per rilanciare l’azienda.
- Sfruttare le sue capacità negoziali per condividere con i creditori una strategia, ottenendo da questi le risorse di cui ha bisogno per ripartire.
- Vendere l’azienda a qualcuno disponibile a finanziarla, incassando il corrispettivo che vale per un’azienda in crisi.
Nella crisi Melegatti le due famiglie proprietarie non hanno mai dichiarato la possibilità di investire i propri mezzi per salvare l’azienda, facendo presumere di non essere nelle condizioni di farlo. Non si spiegherebbe, altrimenti, l’essere arrivati al punto di dover spegnere i forni a pochi giorni dall’inizio della campagna natalizia.
La scelta è stata quella di cercare un socio finanziatore in grado di investire il denaro necessario a coprire le spese per il rilancio, anche se nella prima fase del risanamento sono stati commessi errori evidenti (che i più maligni potrebbero confondere come scelte tattiche per abbassare il prezzo d’acquisto).
Qualora si giungesse ad un accordo sull’investimento necessario ad entrare in partecipazione, la strategia di risanamento dovrebbe puntare sulla realizzazione di un piano di marketing e vendite che faccia leva sulla storicità del marchio e sulla dismissione degli asset non essenziali.
Il brand Melegatti è sinonimo del pandoro tradizionale e l’azienda non ha le forze, al momento, di creare un nuovo marchio per allontanarsi dalla produzione dei dolci da ricorrenza.
“E se il socio finanziatore si ritirasse?”
La Melegatti si ritroverebbe nella condizione di tutti i piccoli imprenditori, che vorrebbero vendere un’azienda in crisi e che non trovano, naturalmente, nessuno disposto ad acquistarla.
In questo caso, la capacità di chi gestirà la crisi dal punto di vista finanziario si misurerà nella creazione di un network intorno all’azienda in grado di rilanciarla.
Collaborare con fornitori, banche e dipendenti per solidificare le fondamenta per il rilancio e finanziare nuove campagne marketing focalizzate sul prodotto di punta, magari esportandolo all’estero potrebbe essere l’unica via per rivedere la scatola azzurra sulle nostre tavole.
Se vuoi pianificare anche tu la tua strategia di rilancio, puoi farlo partendo dalle indicazioni fornite nel mio libro, Aziende che si finanziano da sole, che puoi comprare cliccando qui.
Clicca qui per scaricare GRATIS il primo capitolo.
Ora hai due strade davanti a te.
Puoi ignorare tutto quello che hai letto in questo articolo e tornare ad affrontare i problemi della tua azienda come hai fatto fino ad ora, a tentativi, sperando o continuando a pensare che il tuo caso sia differente e che tu possa in qualche modo farcela.
Oppure puoi fermarti a riflettere su quello che hai appena letto e sulla mossa giusta da fare adesso per la tua azienda, imparando dagli errori commessi nella gestione delle crisi Melegatti.
La gestione professionale delle crisi aziendali fatta con il Metodo Di Domenico Debiti™ ti permette di delegare gli impegni che assorbono la maggior parte della tua giornata ad un team di consulenti specializzati nel trattare le problematiche di liquidità delle aziende come la tua.
Una volta affidato l’incarico vengono valutate le condizioni di partenza e si individuano le aree dalle quali poter ricavare la liquidità che ti serve per ripartire.
Il mio Metodo si basa sull’autofinanziamento, cioè sulla capacità dell’azienda di generare gli incassi necessari per finanziare il proprio sviluppo.
Ma per farlo bisogna gestire le uscite, negoziare i debiti e chiudere gli accordi che servono ad eliminare gli ostacoli che vedi oggi sul tuo cammino: i debiti che devi pagare.
Ed è questo che fanno i professionisti specializzati che lavorano con me.
Parlano con i clienti per decidere come muovere ogni centesimo, negoziano con i fornitori le condizioni per far non interrompere i rapporti commerciali, chiudono accordi transattivi con le banche, per evitare che aggrediscano i beni aziendali e quelli dell’imprenditori.
Tutto il giorno, tutti i giorni.
Con circa 1700 casi gestiti e circa 300 imprenditori in crisi seguiti quotidianamente (in media), siamo lo staff tecnico che i nostri clienti utilizzano per liberare la loro azienda dai debiti.
Quello di cui avrebbe bisogno anche la tua azienda, adesso, prima che sia troppo tardi.
Ma non lavoro quando non c’è più nulla da fare e non prendo casi dove l’unica possibilità è chiudere.
Non mi piacciono le sfide? Sono pigro nel mio lavoro? Affatto, ma non amo rubare soldi ai miei clienti né dare false speranze agli imprenditori.
Per questo motivo il primo step del Metodo Di Domenico Debiti™ prevede un’analisi preventiva per capire se siamo ancora nelle condizioni per intervenire a risolvere i tuoi problemi di indebitamento.
Puoi richiederla in modo completamente GRATUITO. Avrai a disposizione un esperto del mio team in grado di aiutarti a capire la direzione da prendere e di spiegarti come noi risolviamo queste problematiche applicando il Metodo Di Domenico Debiti™.
Durante il colloquio potrai scoprire quali soluzioni specifiche possono risolvere il tuo problema e anche se è possibile aiutarti tramite il nostro Metodo.
Prenota ORA la tua CONSULENZA GRATUITA personalizzata per scoprire se sei ancora in tempo per poter salvare tutto quello che hai costruito con fatica.
Ad maiora
Giuseppe