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Mi capita spesso di parlare con imprenditori che stanno vivendo una fase particolarmente critica della vita della loro azienda, quella del declino che porta alla crisi, e che magari tra le varie alternative stanno valutando l’opzione di mettere l’azienda in liquidazione.
D’altronde, quando il fatturato generato dalle vendite non è più sufficiente nemmeno a coprire i costi aziendali, i debiti non vengono pagati regolarmente e i creditori iniziano a mostrare segni di impazienza, è normale prendere in considerazione l’idea di chiudere l’attività e mettere l’azienda in liquidazione volontaria.
Un’azienda in liquidazione può continuare a lavorare mentre il liquidatore vende i beni aziendali, cerca di incassare i crediti ancora esigibili e con il ricavato paga i debiti.
Ma la procedura di liquidazione volontaria non cancella con un colpo di spugna i problemi causati dal sovraindebitamento, né pone un freno alle azioni esecutive che puoi subire da parte dei creditori che vanno per vie legali.
Anzi, in qualche modo accelera il processo di declino dei rapporti e i tentativi di recupero crediti.
Questo perché l’iscrizione al registro delle imprese che sancisce l’avvio del processo di liquidazione è un atto pubblico, con il quale l’organo amministrativo comunica di aver individuato una causa di scioglimento, di aver sottoposto il problema all’assemblea dei soci il problema che ha scelto di avviare la liquidazione volontaria della società di capitali.
Quindi in qualche modo preavvisa i creditori che, di lì a poco, non ci saranno più risorse per pagare i debiti.
Se stai valutando di mettere la tua azienda in liquidazione é importante che tu lo sappia, per non rischiare di ritrovarti come Tommaso, un imprenditore che ho assistito fino a poco tempo fa, che aveva messo la società in liquidazione senza sapere cosa sarebbe successo.
In questo articolo cercherò di dare risposta ad alcune delle domande più comuni sul funzionamento della procedura di liquidazione volontaria di un’azienda.
In particolare, attraverso la storia di Tommaso, riuscirai a chiarirti le idee su queste specifiche domande:
- Quando un’azienda viene messa in liquidazione?
- Cosa significa mettere l’azienda in liquidazione?
- Cosa si deve fare per porre in liquidazione una società?
- Cosa succede se un’azienda va in liquidazione?
- Chi paga i debiti di una Srl in liquidazione?
- Cosa può fare un’azienda in liquidazione?
- Se conviene mettere in liquidazione un’azienda in crisi?
Ma procediamo con ordine.
Quando si decide di mettere l’azienda in liquidazione?
La decisione di chiudere l’azienda non viene mai presa a cuor leggero.
Tommaso era il titolare di una catena di ristoranti nel Centro Italia, molto nota e frequentata principalmente da turisti stranieri, che ha dovuto fare i conti con gli effetti della pandemia e delle chiusure forzate delle attività di ristorazione imposte per arginare la diffusione del contagio.
Era orgoglioso del suo lavoro ed aveva ragione di esserlo.
Aveva ereditato un locale storico da suo nonno e lo aveva trasformato in un’azienda nota e rispettabile.
Le materie prime di qualità, i sapori autentici e una sana cultura dell’ospitalità avevano gli avevano permesso di trasformare un piccolo ristorante in un punto di riferimento della cucina tradizionale.
La sperimentazione continua, la partecipazione ad eventi e programmi televisivi e l’ambizione di creare qualcosa di importante e di lasciare la sua impronta lo avevano portato prima a trasformare le ricette della cucina tradizionale in chiave gourmet, poi a riprogettare il concept dell’intero locale e la promozione del marchio.
Aveva conquistato fasce di clienti sempre più alto-spendenti ed era riuscito, nel tempo, a rilevare altri locali ed a trasformarli creando una vera e propria catena.
Le maggiori dimensioni gli avevano permesso di stringere accordi di fornitura migliori, di avere un accesso privilegiato a materie di prima scelta e di attrarre personale sempre più qualificato che contribuiva ad alimentare la fama dei locali.
Ma erano stati gli accordi con le attività ricettive locali e un’ottima strategia promozionale a fare la differenza.
Prima della Pandemia Tommaso guidava una brigata di oltre 80 dipendenti tra addetti alla cucina, chef, cuochi, aiuto cuochi, personale di sala, sommelier e inservienti e aveva raggiunto un fatturato pari a circa 2,5 Milioni di euro.
La crescita sembrava inarrestabile, i ristoranti lavoravano a pieno regime e la sua vita era dedicata alla sua azienda ed alla famiglia, che lo aveva supportato in ogni sua scelta e verso la quale lui si era impegnato a non far mancare nulla.
Un giro di affari del genere, però, comporta anche esposizioni importanti.
I costi più rilevanti del suo conto economico erano legati alla fornitura di materie prime e al personale, ma anche gli investimenti pesavano sul bilancio aziendale.
Nella struttura finanziaria della società non mancavano i mutui accesi per l’acquisto e la ristrutturazione di alcuni locali per i quali pagava circa 12.000 euro al mese di rate.
Gli ultimi investimenti che aveva fatto, per ampliare ulteriormente la sua catena e portarla da 8 a 10 ristoranti attivi su tutto il territorio regionale erano stati fatti pochi mesi prima dell’inizio della serie dei lockdown.
L’impegno finanziario era importante, ma quando si era impegnato non sapeva ciò che sarebbe successo: contava di riuscire a pagare tutto grazie al giro di affari dei suoi locali.
Ma anche le più belle storie, a volte, possono avere un epilogo tutt’altro che felice.
Gli effetti della pandemia sono piombati sull’azienda di Tommaso fino a metterla completamente in ginocchio in pochi mesi a causa di alcuni elementi di debolezza e di qualche scelta troppo rischiosa.
Cosa ti porta a mettere l’azienda in liquidazione?
Sai quando un’azienda viene messa in liquidazione?
In generale, devi mettere la società in liquidazione quando intervengono le cause di scioglimento della società previste dalla legge e dallo statuto.
Per una Srl anche una perdita economica importante, che azzera il patrimonio e porta il capitale sociale al di sotto del minimo legale, è una causa di scioglimento che non può ignorata da chi amministra l’azienda.
Tommaso aveva fatto di tutto per garantire la tenuta dei conti aziendali, nonostante i lockdown.
Aveva riprogettato i menu, investito nella realizzazione di esclusivi packaging per l’asporto e la consegna a domicilio, che mantenessero inalterate qualità e temperature, acquistato auto e moto per le consegne a domicilio e assegnato nuove mansioni personale di sala.
Non voleva lasciare a casa nessuno senza stipendio.
Aveva anche coraggiosamente investito ingenti risorse in campagne promozionali per cercare di dare una spinta al fatturato.
Ma non aveva avuto il rendimento sperato.
Mancava la componente che aveva sempre fatto la differenza tra i suoi ristoranti e quelli dei concorrenti locali: l’esperienza d’acquisto del cliente, quella che lo aveva reso famoso.
Dopo una prima fiammata, spinta dalle novità, la domanda di piatti a domicilio era iniziata a calare senza sosta.
Ben presto si era trovato a sopportare costi molto alti a fronte di ricavi sempre più risicati.
Mutui, fornitori, dipendenti, nulla era cambiato nella struttura dei costi, anzi, si erano aggiunte nuove spese a quelle che già sosteneva, mentre il fatturato si riduceva drasticamente.
A causa di alcuni ritardi nei pagamenti precedenti la pandemia, infatti, non aveva nemmeno potuto beneficiare della sospensione delle rate dei mutui bancari e questo aveva peggiorato ulteriormente le problematiche finanziarie.
Si era dovuto arrendere.
Aveva messo il personale in cassa integrazione alimentando il malcontento, aveva lasciato indietro le rate dei mutui, peggiorando ulteriormente il rating aziendale, ed aveva iniziato a pagare a singhiozzo i fornitori.
Aveva peccato di “ottimismo imprenditoriale”.
Non aveva fatto i conti con la durata della crisi, non aveva valutato la sostenibilità degli investimenti e aveva sottostimato l’oggettiva difficoltà di mantenere il fatturato in quelle condizioni.
Quando Tommaso ci ha contattato per la prima volta, nel mese di ottobre del primo anno di pandemia, la situazione era già era preoccupante.
Il suo commercialista di fiducia, visti i debiti in crescita esponenziale e il perdurare dell’emergenza sanitaria, nonché le perdite accumulate in bilancio, gli aveva consigliato di mettere la società in liquidazione.
Un suggerimento superficiale e sbrigativo, che molto spesso viene dato senza tener conto delle conseguenze che una scelta del genere può avere sull’imprenditore e la sua famiglia.
Già perché, chi paga i debiti di una Srl in liquidazione?
Cosa rischi se metti l’azienda in liquidazione quando garantisci i debiti aziendali
La decisione di mettere una società in liquidazione con i debiti da pagare, di vedere il proprio progetto imprenditoriale ridotto in cenere, di ritrovarsi all’improvviso senza più un lavoro, è una delle scelte più difficili ed emotivamente pesanti che come imprenditore puoi dover fare.
Il senso di fallimento, la frustrazione, il disorientamento e la vergogna sono solo alcuni degli stati d’animo che agitano la mente di un imprenditore che valutala chiusura della propria attività.
Gli stessi che abbiamo rivisto in Tommaso, mentre ci raccontava la sua storia.
Chiudere l’azienda è un’esperienza devastante non solo da un punto di vista emotivo, ma anche dal punto di vista economico e patrimoniale e, dato che una società in liquidazione può continuare a lavorare ma con delle limitazioni, può esserlo anche in termini di carico di stress.
La scelta di mettere l’azienda in liquidazione volontaria può scatenare una serie di conseguenze gravi per l’imprenditore e gravissime per la sua famiglia, soprattutto quando, come capita spesso, una parte dei debiti è coperta da garanzie personali, come le fideiussioni bancarie.
Spesso sei solo in questa “avventura”.
Nella fase di declino molti imprenditori vengono abbandonati dai professionisti che li avevano accompagnati l’azienda nelle fasi di nascita, crescita e sviluppo della vita aziendale.
Da graditi clienti diventano un problema da “sbolognare” in fretta.
C’è tanto lavoro da fare, il rischio è alto, i guadagni sono modesti.
Ecco perché spesso i professionisti trattano gli imprenditori in crisi con estrema superficialità.
“Devi mettere l’azienda in liquidazione, almeno smetti di pagare i debiti”.
Questo è quello che si limitano a dire.
Esattamente com’è successo a Tommaso.
Solo che non è così semplice.
Mettere in liquidazione una società in difficoltà finanziaria non fa altro che accelerare la crisi, perché i nodi vengono al pettine prima.
Avviare una procedura di liquidazione volontaria equivale a una dichiarazione esplicita, verso i propri creditori, che non si è più in grado di pagare i debiti.
Lo stato di liquidazione mette tutti in allarme, rendendoli più aggressivi.
Nel momento in cui Tommaso aveva avviato la procedura di liquidazione della sua azienda, la situazione era precipitata in modo irreversibile.
Le banche gli avevano revocato gli affidamenti, mettendo le posizioni in sofferenza e chiedendo il rientro immediato delle linee di credito a revoca.
350 mila euro di affidamenti da rimborsare in unica soluziome.
Tommaso aveva garantito tutte le linee di credito con fideiussioni personali che mettevano a rischio il patrimonio della sua famiglia.
Ma i problemi non si limitavano alle banche.
Non appena lo stato di azienda in liquidazione era stato reso noto attraverso l’iscrizione nel registro delle imprese, i fornitori avevano smesso di concedere pagamenti dilazionati, perché intimoriti dal fatto che, man mano che la liquidazione andava avanti, rischiavano di non essere pagati.
Altri 250 mila euro di debiti con assegni a garanzia firmati dallo stesso Tommaso.
Alcuni dipendenti, allarmati dalla situazione avevano cercato un lavoro alternativo e avevano presentato le dimissioni chiedendo la liquidazione immediata del TFR, per un valore complessivo di 237 mila euro.
Insomma, con la società in liquidazione Tommaso aveva dato il via a una vera e propria corsa a salvare il salvabile.
Questo succede perché quando metti l’azienda in liquidazione i creditori cercano di ottenere un titolo esecutivo, un atto che gli permetta di avere un privilegio nel recupero del credito in caso di fallimento.
Tommaso stava rischiando di rimetterci il proprio patrimonio personale.
Una situazione molto comune a chi sceglie di mettere in liquidazione la propria azienda, con debiti garantiti personalmente.
Quando si mette la società in liquidazione, senza pianificare alcuna strategia di chiusura dei debiti che permetta di allineare il valore di mercato dell’attivo liquidabile a quello dei debiti da pagare, si rischia il proprio patrimonio personale.
Questo succede soprattutto perché, nella maggior parte dei casi, quando si porta la società in liquidazione volontaria, i beni aziendali non valgono abbastanza da coprire i debiti.
E vale non solo in caso di fideiussioni sottoscritte a garanzia di debiti o forniture, ma anche nel caso in cui lavori con una società di persone, nella quale i soci rispondono dei debiti con l’intero capitale.
È fondamentale valutare con attenzione questi aspetti prima di mettere l’azienda in liquidazione.
Perché è vero che in teoria una società in liquidazione può continuare a lavorare, quindi può fatturare e può acquistare beni e servizi dai propri fornitori, ma nella pratica è molto difficile.
Nel mondo reale, se l’azienda “minaccia” di chiudere i battenti, i dipendenti smettono di lavorare con impegno, le banche ritirano il proprio supporto, i fornitori perdono fiducia e non concedono dilazioni e, in determinate circostanze, nemmeno i clienti sono molto propensi ad acquistare, se non a condizioni estremamente vantaggiose.
Con la società in liquidazione, inoltre, diventa più difficile recuperare i crediti, perché le controparti puntano ad allungare fino allo stremo i tempi di pagamento e vendere i beni dell’azienda a valori di mercato, senza svenderli, diventa un’impresa titanica.
In queste condizioni chi paga i debiti di una Srl in liquidazione?
I soci, che ne rispondono con il proprio patrimonio personale se hanno firmato fideiussioni, assegni o cambiali firmati avallate a titolo personale.
E nelle società di persone è anche peggio.
Perché se nella Srl in liquidazione i debiti da pagare di tasca propria sono solo quelli garantiti, nelle società di persone i creditori aggrediscono sia il patrimonio della società che quello personale dei soci.
Liquidazione azienda e garanzie personali
Qual è il modo migliore per chiudere se stai pensando di mettere l’azienda in liquidazione, sei indebitato e hai firmato garanzie personali?
Quando un’azienda sta attraversando una crisi profonda e apparentemente irreversibile, la scelta migliore che l’imprenditore può fare è resistere ristrutturando il debito, entro i limiti concessi dalla legge.
Chiedere un supporto a professionisti specializzati nella ristrutturazione finanziaria aziendale prima che le difficoltà finanziarie si trasformino in insolvenza, è la strada migliore per evitare la chiusura o, quanto meno, gestirla nel modo più indolore possibile.
Ci sono però delle situazioni in cui, però, la liquidazione societaria è obbligatoria.
Si possono verificare casi in cui il capitale sociale va al di sotto del minimo previsto dalla legge o casi in cui, ad esempio, vengono revocate concessioni propedeutiche allo svolgimento dell’oggetto sociale.
Queste circostanze, di fatto, rendono obbligatoria la liquidazione della società e il supporto di professionisti specializzati nella materia, permette di seguire le procedure più adatte ad evitare o ridurre il più possibile i rischi e i “danni” riportati dall’imprenditore.
Se invece, la liquidazione della società è una scelta dell’imprenditore, allora si può procedere nel modo che abbiamo seguito noi per salvare il patrimonio di Tommaso.
Quando si è rivolto a noi, la situazione generale era già degenerata al punto da non poter evitare la chiusura, peraltro già avviata dall’imprenditore.
Per rendere meno gravi le conseguenze della messa in liquidazione e ricavare la liquidità cessarla a ripagare in parte i debiti contratti, abbiamo valorizzato tutto il patrimonio aziendale vendibile.
Abbiamo iniziato a negoziare con le banche e con i fornitori, pianificato l’uscita progressiva dei dipendenti e messo in vendita i locali.
Agire in questo modo ci ha permesso di guadagnare tempo e ridurre l’aggressività dei suoi creditori.
Col ricavato delle vendite non avremmo potuto chiudere tutti i debiti, ma dopo aver coperto quelli privilegiati e non negoziabili, abbiamo trattato per la chiusura dell’indebitamento residuo a saldo e stralcio.
Seguire questa procedura ci ha permesso di ridurre al minimo indispensabile i costi di liquidazione che Tommaso ha dovuto sostenere.
Abbiamo abbattuto anche il rischio che la liquidazione volontaria si trasformasse in un fallimento, mettendo in sicurezza il patrimonio dell’imprenditore e della sua famiglia nell’unico modo veramente efficace in questi casi, ossia riducendo la probabilità che restassero debiti non pagati.
Azienda in liquidazione: ecco come salvare il tuo patrimonio personale
Mi è capitato di accompagnare aziende alla liquidazione perché non sempre potevano essere risanate seguendo un approccio simile a quello realizzato per Tommaso.
Se ti senti schiacciato dai debiti, stai pensando di avviare o hai già avviato la procedure di liquidazione volontaria della tua azienda, non aspettare che la situazione degeneri.
Molti imprenditori lo fanno o si affidano ai consigli dei professionisti di fiducia, convinti di uscirne illesi.
In base alle mia esperienza però la maggior parte di chi prende questa strada si ritrova dopo qualche anno ad affrontare problemi ben più seri.
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