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Idee per autofinanziamento: strategia e applicazioni
Può l’autofinanziamento essere la soluzione ai problemi che le imprese si trovano quotidianamente a fronteggiare?
Leggevo un post che parlava di un’azienda costretta a chiudere a causa della solita combinazione letale di azioni legali da parte delle banche successive alla revoca dei fidi, crediti verso i clienti e verso lo Stato bloccati dalla burocrazia e fornitori che smettono di consegnare la merce.
Ora più che mai questo tema è molto attuale, infatti, si preparano tempi difficili per le piccole imprese italiane che dovranno fare bene i loro compiti in questo momento.
Tornando a noi, ho letto i commenti indignati sotto quel post, ma, come spesso capita quando leggo notizie di questo tipo, ho soprattutto ragionato sulla storia e sulla strategia che avrei applicato, se fosse stata una mia cliente.
“Pure questa si poteva salvare!”
Ho preso il telefono e l’ho lanciato sulla scrivania, colto ancora una volta dalla sensazione di impotenza che mi prende in questi casi.
Negli anni mi sono reso conto che gran parte delle crisi aziendali che ho evitato, e di quelle sulle quali non sono riuscito ad intervenire perché sono arrivato fuori tempo massimo, nascono da un errore comune, che rende inutili tutti gli sforzi successivi.
Qual è l’errore?
Quello di considerare come vere e proprie “fonti di finanziamento” solo i soldi provenienti dalle banche e non riconoscere il potenziale finanziario delle altre leve, relegando il loro sfruttamento ai momenti in cui l’azienda vive una situazione di emergenza.
“Non mi è del tutto chiaro, che potenziale finanziario?”
Mettiamola così…
Cosa fai e fa chiunque quando l’azienda inizia a soffrire? Quando vedi i conti non andare come dovrebbero e quel pericoloso segno “meno” comparire ovunque?
Inizi a contattare nuovi fornitori per sostituire quelli che utilizzi abitualmente, perché non riesci più a pagare quelli con cui lavori di solito, giusto?
Cerchi un modo per rimandare il pagamento delle imposte, perché sei con l’acqua alla gola e devi scegliere tra pagare i dipendenti o pagare le tasse, o mi sbaglio?
Se vuoi saperne di più, leggi il mio articolo sull’analisi dei costi.
Queste scelte, che fai spinto dalla disperazione di un momento di tensione, le fai perché sei costretto a farle, perché non c’è altra via d’uscita e non ti verrebbe mai nemmeno in mente di portarle avanti, quando sei in una situazione di calma e potresti pianificarle per stabilire senza pressione come andare a finanziare i tuoi investimenti.
Ma è un errore.
Imparando a sfruttare in maniera attiva le quattro leve dell’autofinanziamento, la tua azienda sarà in grado di raggiungere e mantenere un equilibrio finanziario più duraturo riuscendo ad essere più solida e a finanziare il proprio sviluppo.
Idee per autofinanzuare l’azienda anche se non parti da zero
Certo, l’ideale sarebbe partire costruendo un modello di business basato sul finanziamento dell’attività con gli incassi dei clienti, ma intervenire sul modello di business è complicato, richiede cambiamenti drastici e, se sei in corsa, investimenti che magari non puoi permetterti immediatamente.
Diversificare le fonti di finanziamento, e ridurre il peso di ognuna di esse nell’economia generale della tua azienda, è l’azione che ti permetterebbe di raggiungere quell’equilibrio finanziario necessario a far sì che i tuoi sforzi non finiscano come cenere al vento, anche se il fatturato non brilla e le banche non ti aprono più le porte.
Non solo.
Imparare a sfruttare le quattro leve dell’indebitamento aziendale pone la tua azienda in una condizione di vantaggio quando deciderai di sederti al tavolo delle trattative per negoziare le condizioni con i tuoi creditori.
Se non dipendi da nessuno di essi (e fai in modo che lo vengano a sapere) è più facile fare la voce grossa e spuntare quelle condizioni che ti permettono di migliorare i margini della tua azienda, aumentando i profitti.
Cosa frena la maggior parte degli imprenditori dall’utilizzare correttamente queste leve per finanziare la loro impresa?
Una semplice questione morale, impiantata nel loro cervello da una società rimasta al medioevo ovviamente.
Ecco perché dovresti ignorare i problemi morali che ti stai facendo mentre pensi a come sfruttare in maniera aggressiva le 4 leve per finanziare la tua azienda.
Uno dei casi che mi viene in mente riflettendo su questo argomento è uno dei primi clienti al quale avevo iniziato a spiegare come avrebbe potuto salvare l’azienda di famiglia senza svendere uno dei due stabilimenti. Era rimasto perplesso, perché non gli avevano mai fatto vedere le cose in quella maniera.
Era un membro rispettabile della sua comunità, un imprenditore conosciuto nella sua zona che partecipava attivamente alla vita politica, sociale e culturale della sua provincia.
Aveva avuto incarichi importanti in Consiglio Comunale, una poltrona nella sezione provinciale della Confindustria e un posto nel Comitato Direttivo della banca locale.
Non voleva fare brutte figure.
Non voleva che il nome della sua famiglia venisse sporcato. Avrebbe fatto di tutto per evitarlo.
Poteva salvare l’azienda, con l’autofinanziamento, trovando così le risorse finanziarie per portarla avanti.
Doveva solo fidarsi e uscire dall’approccio che aveva avuto fino a quel momento. E non era per niente facile.
Doveva smetterla di aspettare che le cose sarebbero cambiate e che le banche “sarebbero tornate a fare le banche”, come il suo anziano commercialista gli ripeteva da anni.
Non doveva seguire le lusinghe di quel sedicente avvocato d’affari, interessato più a trovare il modo per liquidare il suo patrimonio, facendo a pezzi l’azienda prima di vederla chiudere, che non a salvare l’attività alla quale aveva dedicato tutta la sua vita.
Non te lo racconto perché sono improvvisamente diventato papà castoro, te la voglio raccontare perché la sua storia è vicina a quella di molti altri imprenditori.
Doveva smettere di usare il denaro per tappare i buchi, assumere un professionista nella gestione delle aziende in crisi, e dedicarsi anima e corpo nel completare la sperimentazione di quel composto innovativo che gli avrebbe permesso di realizzare manufatti migliori ad un costo più basso.
In questo modo avrebbe recuperato margini e quote di mercato.
I soldi che avanzavano dalla ricerca e sviluppo, dovevano essere impiegati nella commercializzazione di questa nuova linea di prodotti che gli avrebbe permesso di venire fuori dalla crisi dell’edilizia.
Produceva semilavorati in cemento armato, aveva due stabilimenti e aveva resistito il più possibile mentre la crisi falcidiava l’intero comparto.
Ma non aveva più risorse personali da buttare in azienda per andare avanti e doveva sfruttare altri canali per uscire a testa alta da quello stallo.
A causa di un problema in un’altra avventura imprenditoriale alla quale aveva partecipato, aveva avuto una segnalazione di sofferenza bancaria che aveva costretto le banche, anche quelle amiche, a chiudere i rubinetti del credito.
Ma c’era una via d’uscita.
L’autofinanziamento come meccanismo di ristrutturazione aziendale
Ecco come finanziare anche un’azienda in crisi. Le trattative con i fornitori si potevano gestire in modo professionale, senza arrecare danni agli imprenditori che conosceva da anni e senza nemmeno richiedere chissà quale sconto particolare.
Dovevano solo accettare di attendere qualche anno per ricevere quello che gli spettava e potevamo addirittura riconoscere loro degli interessi per premiarli della collaborazione e del supporto.
Se l’unica alternativa, quella di vendere lo stabilimento, fosse fallita come era prevedibile, dato il momento storico, l’azienda avrebbe dovuto portare i libri in tribunale e i fornitori sarebbero rimasti con un pugno di mosche in mano.
D’altronde si sa che nelle procedure fallimentari i fornitori dell’azienda aspettano anni per ricevere il pagamento delle briciole dei loro crediti. Il rischio di ritrovarsi con una percentuale di soddisfazione che varia dal 3% al 13% circa del valore nominale dei crediti, valeva bene la pena di pazientare qualche anno.
E i dipendenti?
La maggior parte di loro era in azienda da molti anni, alcuni avevano superato la cinquantina, quasi tutti erano ben oltre i quaranta. Operai specializzati in un settore decimato dalla crisi, che non avrebbero trovato un’altra occupazione se non per miracolo.
Conveniva a tutti rinunciare a qualche ora di straordinario, trovare un accordo per il pagamento degli stipendi arretrati ed andare avanti a lavorare sfruttando gli ammortizzatori sociali.
In caso di fallimento il loro credito sarebbe stato privilegiato, ma avrebbero aspettato molti mesi prima di vedere anche un solo centesimo. Certo, avrebbero ottenuto il pagamento del TFR e degli ultimi tre stipendi (il che li rendeva molto più pericolosi delle banche) ma poi sarebbero rimasti senza lavoro.
Avrebbero avuto accesso agli ammortizzatori sociali previsti in questi casi, ma cosa avrebbero fatto dopo?
Un paio di anni in disoccupazione non sarebbero bastati a farli arrivare all’età per la pensione e avrebbero dovuto arrangiarsi con qualche lavoretto abusivo, per tirare a campare e portare a casa il pane.
Lo Stato se la sarebbe cavata meglio.
Erano anni che non aveva i margini per pagare tutto quello che doveva. Così, quando aveva dovuto scegliere se pagare le tasse oppure i fornitori e i dipendenti, aveva scelto di favorire questi ultimi, trattenendo anche l’IVA che avrebbe dovuto versare.
Molti al suo posto fanno questa scelta.
Una decisione pericolosa se non hai un piano di ristrutturazione già delineato e se non sai dove prendere i soldi per pagare il fisco, ma che diventa sostenibile quando viene inserita all’interno di un piano che preveda il pagamento del carico fiscale accumulato.
Il piano che gli avevo presentato prevedeva un pagamento dilazionato, da posticipare il più possibile.
Ricorrendo alla massima dilazione legalmente ottenibile, ed organizzando in maniera efficiente i pagamenti da fare e le cartelle esattoriali che sarebbero arrivate, se l’azienda si fosse ripresa come sperato, avrebbe potuto sostenere l’uscita finanziaria dovuta al carico fiscale.
D’altronde, pagare casualmente solo quello che si riusciva a pagare, tralasciando le somme più grosse, non era poi una mossa strategica così vincente.
Dal punto di vista tecnico, in caso di fallimento, non sarebbe cambiato poi molto. Il Fisco avrebbe fatto man bassa della carcassa della sua azienda.
Di quello che sarebbero riusciti a ricavare dalla vendita dei beni, tolti i crediti vantati dai dipendenti e quelli coperti dalle garanzie ipotecarie, la maggior parte dei soldi sarebbe finita nelle case dello Stato. La legge parla chiaro in merito.
C’è una graduatoria molto rigida da rispettare e il Fisco è in cima alla lista. Nemmeno lo Stato aveva tanto da guadagnare dal fallimento, però.
Tra le tasse che non avrebbe più potuto incassare a causa della chiusura dell’azienda e quello che avrebbe dovuto sborsare per mantenere i neo-disoccupati, sarebbe stato un gioco a perdere.
Meglio aspettare e incassare tutto, con gli interessi previsti dalla legge.
E le banche?
La trattativa con le banche sarebbe stata difficile, lunga e faticosa.
Basta leggere questo mio articolo per capire come le banche possano essere complesse.
Ma la strada del risanamento aziendale non è mai facile e gli istituti di credito avrebbero dovuto fare la loro parte per evitare una drammatica chiusura.
Solo che ancora non lo sapevano.
La maggior parte degli imprenditori sbaglia completamente l’approccio al sistema bancario in caso di crisi aziendale. Si aspettano che le banche continuino a finanziare l’azienda in crisi, nonostante le segnalazioni negative.
Perché in qualche modo credono sia dovere della banca aiutarli.
Purtroppo non è così e le banche non sono tenute ad “aiutarti” nei momenti di difficoltà aziendale, anzi.
La banca è un’azienda, esattamente come la tua, non una ONG caritatevole. È proprio lei il creditore meglio informato sullo stato di salute della tua azienda e quello che per primo tirerà i remi in barca in caso di crisi.
Quindi non si può coinvolgerle?
Tutt’altro.
Ma bisogna forzare la mano, nel modo giusto e nel rispetto della legge, ovviamente.
Alcune di loro avrebbero rinunciato ad una parte del loro credito, altre, quelle più garantite, avrebbero ceduto solo sulle tempistiche per il rimborso. Ma non si poteva mai dire.
L’esito di queste trattative è legato a decine di variabili differenti, alcune delle quali cambiano in base alle politiche di credito della banca e delle società che garantiscono le esposizioni. Il risultato non è mai scontato.
Ma la situazione era tale per cui nemmeno le banche avrebbero avuto un risultato migliore dal fallimento.
Il credito sarebbe stato bloccato per anni, l’esito della procedura incerto. Avrebbero potuto dirottare la loro aggressione sulle garanzie personali, ma sarebbero passati anni prima di ottenere un risultato accettabile.
E nel frattempo i crediti sarebbero rimasti lì a marcire ed a generare costi di gestione, di patrimonio, di segnalazione, di imposte non recuperate… Oltre al rischio di un giudizio che avrebbe portato inevitabilmente ad una revisione dei conti e dei costi applicati alle linee di credito.
C’erano gli strumenti per far leva anche sul comitato credito più aggressivo ed intransigente. Nonostante gli errori commessi nella concessione delle garanzie personali, c’era margine per intervenire.
Nessuna banca avrebbe guadagnato di più in caso di un fallimento e questo sarebbe stato uno degli angoli di attacco da sfruttare per negoziare condizioni di rientro sostenibili.
Dopo aver sfruttato il credito ben oltre le soglie, ovviamente.
Altrimenti l’azienda come sarebbe andata avanti?
L’autofinanziamento come soluzione alternativa alla crisi aziendale
Perché il nocciolo della questione, la buccia di banana sulla quale scivola ogni ragionamento sulla crisi aziendale, è esattamente questo.
Fino a dove è giusto spingersi per salvare l’azienda?
Se l’azienda trova il modo per andare avanti e rilanciarsi, tutti i soggetti coinvolti ne riescono a trarre beneficio, in un modo o nell’altro. Anche se, apparentemente, si sta chiedendo loro uno sforzo particolare, in realtà si agisce per il loro esclusivo interesse.
Mollare tutto, arrendersi, tirare i remi in barca dichiarando fallimento o, peggio ancora, chiudere e riaprire sotto un altro nome, sperando che nessuno se ne accorga, equivale a scaricare il peso del debito della tua azienda sui fornitori, sui dipendenti, sulle banche e perfino sullo Stato.
Sì lo so che dello Stato te ne frega poco, ma se ci pensi bene lo Stato sono anche i tuoi figli, che pagheranno un giorno tasse più alte per coprire il buco nero del debito pubblico.
E poi vuoi mettere la soddisfazione personale di aver raschiato il fondo del barile ed essere tornati a galla, più forti di prima?
Ecco perché non dovresti farti problemi morali ad utilizzare queste leve anche nelle forme apparentemente più aggressive.
Ovviamente la discriminante della tecnica sta nella liceità delle scelte che fai e nelle intenzioni.
Ci sono dei limiti di legge precisi che non devono in alcun modo essere superati quando si tratta di aziende che rischiano la crisi aziendale.
Oltre a questo, conta la morale.
Non ho mai sposato la filosofia di chi ti dice di non pagare più nessuno, trasferire i beni in una nuova azienda e lasciar andare quella vecchia, magari trasferendo la sede legale in qualche remoto paesino del sud Italia o all’estero.
Nemmeno ho mai pensato di suggerire a nessuno dei miei assistiti di occuparsi della protezione del proprio patrimonio personale anziché pensare a rimettere in pista l’azienda, perché so che la migliore protezione che puoi garantire ai tuoi immobili è evitare la crisi aziendale.
Devi scegliere con attenzione come portare avanti le prossime mosse.
Se l’obiettivo è quello di rendere l’azienda finanziariamente più forte e, in caso di crisi, di salvarla ripagando i propri debiti nei limiti del possibile, allora ogni iniziativa finalizzata a raggiungere l’autofinanziamento è sfruttabile.
Per mia scelta, ad esempio, non lavoro mai con imprenditori che vogliono utilizzare la mia specializzazione “per risparmiare” sui debiti da pagare.
Il risparmio è sicuramente un risultato essenziale del mio lavoro, ma si incastra in un discorso più ampio fatto di investimenti, sopravvenienze, risanamento dei conti e rilancio industriale.
Sfruttare le quattro leve per creare liquidità ed autofinanziare l’azienda ha quindi un’utilità che va oltre il salvataggio del tuo fondoschiena. Se la tua azienda va avanti e cresce, tutte le parti che ti hanno aiutato a finanziarne lo sviluppo, anche se involontariamente, ne otterranno un beneficio.
L’unico limite è la legge.
E tutto quello che hai letto fino ad ora non viola nessuna norma se applicato correttamente. Nemmeno le tecniche per sfruttare a tuo vantaggio la normativa fiscale ti portano a commettere qualche violazione, perché sono fatte nel rispetto di quanto previsto dalla legislazione vigente.
Viene da sé che, per applicare l’intero metodo inerente all’autofinanziamento, hai bisogno del supporto di professionisti competenti che siano in grado di guidarti nelle scelte e di dirti quello che rischi seguendo una strada anziché l’altra.
Esperti che conoscano il confine tra ciò che e lecito e quello che invece non è permesso dalla legge e potrebbe farti rischiare condanne penali, come la sottrazione dei beni aziendali tramite un maldestro contratto di affitto di azienda, ad esempio.
Tutto funziona se riesci a mantenerlo in equilibrio e se lo adatti alle specifiche caratteristiche della tua attività.
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